mercoledì 24 giugno 2009

lavorare in mansarda

Mi sono laureata in filosofia alla Statale di Milano nel 1996 con un orientamento di educazione degli adulti. La mia formazione post laurea, a parte alcuni passaggi, si è sviluppata intorno all’aps: ciclo formatori, seminari, ecc
Sono libera professionista da un bel po’ di tempo. Ho aperto la P.Iva nel 1999. Non ho mai svolto nessun lavoro dipendente. Forse lo dico perché, per me, ha che fare con il fatto di non aver mai sviluppato appartenenze forti o totalizzanti (e non le ho mai cercate) e quindi di non aver mai sperimentato il lavoro in qualche luogo fisico, ufficio o altro (a parte rarissimi momenti).
Ora mi occupo di formazione e ricerca sociale. I miei clienti più grossi? Da alcuni anni l’università di Bergamo per cui seguo i tirocini di scienze dell’educazione e, per esempio, la Provincia di trento, con cui si sta sviluppando da anni, insieme ad altri colleghi, la formazione delle insegnanti di scuola d’infanzia. Altri clienti sono sindacati, associazioni di categoria o l’università di Bergamo su altri versanti (con il Centro di ricerca interdisciplinare Scienze Umane Salute e Malattia), il mondo Cooperativo, Associazioni, Asl, ecc.
Vivo in un paese, Mozzo, nelle immediate vicinanze di Bergamo da circa quattro anni e mezzo.
Il mio è un appartamento su due piani: al primo piano ci sono il soggiorno cottura, la camera da letto e uno dei due bagni. Salendo invece c’è una mansarda: è ampia, spaziosa e luminosa. La mansarda è la parte della casa che sento più mia, che mi piace di più, in cui passo più tempo ‘sveglia’. C’è un’ampia scrivania purtroppo perennemente in disordine, una libreria, degli altri scaffali ma c’è anche un ‘angolo’ relax con un divano, la tv, e un letto per gli ospiti. La mansarda è il luogo della casa che ho personalizzato di più… ci sono, appesi alle travi, i disegni dei miei nipotini, Chiara e Paolo, ci sono gli oggetti portati dai viaggi africani. E’ un luogo caldo e accogliente e guardando dalla grande porta finestra senza tende vedo le montagne.
Ovviamente sulla scrivania ho il Pc fisso (ho anche un pc portatile comprato per vari motivi tra i quali per il lavoro di trento e per l’università) e mi siedo su una fantastica (e costosa!!) poltrona ergonomica della Stokke che spesso mi induce più a rilassarmi che a lavorare. Ahimè… la capacità di tenere la concentrazione non è il mio punto di forza.
Il lavoro di progettazione degli interventi che faccio avviene quasi integralmente in casa e quindi alla scrivania della mansarda.
Un altro dato: vivo da sola e non ho mai sperimentato convivenze con i fidanzati.

Da questo prima descrizione penso che si intuisca che, al momento, non vivo il problema dello spazio in quanto tale. Ma penso sia stata una decisione presa quando ho deciso di acquistare, con un mutuo, la casa. Non riuscivo proprio a pensarmi in un bilocale… forse anche perché ho sempre vissuto in una casa non piccolissima. Quando ho visto la mansarda ho subito pensato che potesse essere il luogo di lavoro e di accoglienza (in realtà poi alle cene con gli amici si sta al piano inferiore); non ho pensato: “qui ci metto la camera da letto”. Era per me il luogo più bello e valeva la pena di viverlo e riempirlo di oggetti e significati per me importanti sotto certi punti di vista.
Inoltre, vivendo da sola, il problema forse è più con me stessa.. Quello che vivo è, al limite, una questione di organizzazione degli oggetti di lavoro nello spazio domestico. A volte gli spazi subiscono una vera è propria invasione! Penso che ciò sia dovuto essenzialmente al mio essere piuttosto disordinata (salvo poi riordinare ciclicamente quando il tutto raggiunge il massimo grado di entropia) ma mi chiedo se sia solo questo. Potrei dire che tutto ciò rappresenta una sorta di metafora del mio rapporto tra tempo lavoro e tempo libero/per me.
Gli oggetti (i faldoni, le cartellette, i fogli, i libri, ecc) non stanno solo sulla scrivania.. spesso arrivo a casa e li appoggio sul tavolo dell cucina e li, nei giorni in cui sono si corsa, stazionano a volte giorni. Certo quando qualcuno visita riordino e se condividessi la casa con qualcuno dovrei darmi delle regole diverse. E così pure intorno alla mia scrivania ci sono i disegni, alcune foto…insomma gli affetti. La sensazione è quello che tutto sia un po’ mischiato… Quando sono in ansia lo vivo con un po’ di fastidio ma, in genere, non ci faccio più caso. Per me è normale che sia così. Così come è normale mentre sto lavorando far partire la lavatrice o stendere o cucinare qualcosa oppure rispondere al telefono ad un’amica o fare uno spuntino. Anche qui addebito molto alla mia bassa capacità di concentrarmi (ogni scusa è buona per interrompermi) però tutto è…non so come…dire (e ci rifletto solo ora scrivendo) molto più domestico, nel senso conosciuto e caricato di calore. Insomma ci sono i pro e i contro.
Non saprei bene che dire sull'organizzazione del quotidiano. Il mio quotidiano ha tempi e ritmi molto diversi da giornata a giornata. Ci sono giorni o mezze giornate in cui sono a casa a lavorare e giorni in cui sono fuori dalla mattina presto sino a sera tardi. Ecco, forse mi manca (o forse no?) un’idea di un ritmo, di un qualcosa che si ripeta e che ritualizzi. Non riesco a pensare bene a delle costanti organizzative. Forse per me è difficile pensare che, in una settimana, sono fuori tutto il giorno senza avere almeno un pomeriggio a casa.Alla posta elettronica riesco a rispondere la sera (ma se sono a casa più volte al giorno: una mia dipendenza!) ma ci sono cose che hanno bisogno di un tempo meno frazionato e anche della casa non riesco a prendermi cura negli spazi serali (mi sento un po’ viziata)
Certo, nella mia organizzazione prevalgono sicuramente i tempo del lavoro.
In genere non uso la casa per riunione tra colleghi ecc. Di solito ci si incontra in uffici (es, Università) ma non avrei problemi a farle qui, almeno con i colleghi che sento più vicini.
Come si sarà capito ci sono molte variabili e poche costanti. Forse la costante reale è proprio data, nella variabilità grande del mio lavoro, proprio dal luogo principale in cui penso, progetto (non l’unico certo perché forse le cose migliore avvengono nell’incontro e nel dialogo con i colleghi intorno ad altri tavoli), cioè la mia casa.
Sento che una parte del rapporto si gioca nel fatto che l’ambiente privato è per me l’ambiente della cura, del back professionale, del ripensare (anche se ciò avviene molto anche eni non-luoghi del viaggiare), del riposo. Vedo l’ambiente provato come ciò che mi permette di reggere la dimensione pubblica. E’ anche il luogo in cui si abbassano le “difese”, in cui talvolta (se non al cellulare) ti prendi un appuntamento telefonico con l’amico/a collega per confrontarsi su alcune cose che magari senti di non aver gestito come desideravi… Ecco ora mi viene un pensiero ma prendilo così, ci dovrei riflettere meglio e per di più e al confine di questioni psicologiche personali che non so quanto interessino: è come se il pubblico a me rischiamasse più il maschile e l’ambiente privato il femminile. Lo so, ho scoperto l’acqua calda…. Però quando sono in aula (meno se sono a progettare con dei colleghi) so che ho un’immagine professionale, e quindi pubblica; so che ho un potere (ahimè) che devo gestire con equilibrio; so che sono giudicata per quello che dico e faccio.
Devo essere sincera: non vorrei fare un lavoro che avesse però una parte bassa di dimensione pubblica. Pe me è importante uscire e mettere “alla prova” quello che penso in casa; è essenziale incontrare le persone con i loro pensieri e le loro esperienze se non su cosa lavorerei? E poi, in quanto donna che viene da una famiglia in cui la mamma ha sempre e solo lavorato (e molto e poco riconosciuta) in casa, lavorare in una visibilità degli altri è anche un modo per affrancarsi da alcune radici.

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