mercoledì 24 giugno 2009

io ho smesso

Io ho smesso. A casa non ci lavoro quasi più.
All’ora di pranzo spengo il cellulare, alle 8 di sera spengo il cellulare. Il mio numero di casa non lo do, non lo do a nessuno che sia legato a me soltanto per “motivi di lavoro”. Segreterie zero, non le ho attivate mai anche se sono gratis. Amo non essere raggiungibile, I need it…ne ho di bisogno.

Quando ho trovato la casa nuova ho pensato che finalmente potevo farmi uno studio.
Non volevo più, mi dissi, lavorare in camera come facevo i compiti da ragazzina. Da qualche parte la crescita si deve pur vedere.
Alla seconda occhiata il previsto spazio, un soppalco sopra il soggiorno, si è rivelato poco corrispondete alle mie attese. In contrasto con le minime regole del feng shui , con il soffitto direttamente sulla testa e l’abisso sotto i piedi era troppo in assonanza con la mia personale vertigine per trovarvi la giusta concentrazione, o forse avevo solo voglia di uscire.
Oggi quello che doveva essere il mio studio è un ripostiglio in crescita continua, caos che si accatasta , si espande (una stanza sprecata dice mia sorella). La scrivania l’ho riportata in camera, appoggiata alla parete come la prima che ho avuto. Posso scrivere solo davanti a un muro, adesso lo so, perché è così che è cominciata. Ma in camera scrivo e leggo solo quello che amo di più. I progetti li faccio fuori da lì, a distanza.
Quando stavo con M. , lui lavorava al piano di sopra e io al piano di sotto e si lavorava come matti.
Il mio tavolo da lavoro era anche il tavolo da pranzo, ma mi ero imposta di fare in modo che non si vedesse troppo, quando mangiavamo liberavo tutto, completamente. Era il mio tributo simbolico, la mia forma di rispetto verso il nostro amore.
Ora un ufficio fuori, uno spazio che mi lasciano usare.
Due volte al mese io non posso usare il “mio ufficio” perché in realtà esso è per tutti “l’ambulatorio del dottore” e il fatto è evidente perché nella stanza c’è il lettino che negli uffici, come si sa, non c’è.
Anche la targhetta sulla porta mi ricorda che sebbene ci vada tutti i giorni, il mio ufficio è “mio” solo per me. Stare qui mi consente di: uscire di casa, di darmi degli orari (alle 7 mi chiudono dentro) , di telefonare a randa, di avere un riscaldamento, in sintesi quel che si dice “scaricare i costi sull’organizzazione”. Quanto alla dimensione pubblica del lavoro non mi illudo. Lavoro da sola come sempre appesa al telefono e alla mail, le riunioni le faccio fuori di qui e non so mai dove farle ...insomma lo spazio resta prevalentemente virtuale e la nostra cittadinanza tutta da costruire. .

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